Shirley Jackson: l’architetto della psicologia gotica

di Federico Rossi

Se siete su queste pagine è quasi sicuro che conosciate già il nome di Shirley Jackson, una delle figure più affascinanti e complesse della letteratura del XX secolo capace di scavare nelle profondità dell’animo umano e di costruire storie dove la realtà si dissolve in un labirinto di angoscia.

Questa autrice è rimasta impressa nella storia della letteratura con due capolavori in particolare: “L’incubo di Hill House” (1959) e “Abbiamo sempre vissuto nel castello” (1962). Sebbene entrambe le opere siano intrise di un’atmosfera gotica e ricche di tensione psicologica, presentano sfumature e approcci differenti che le rendono uniche nel loro genere.

L’incubo di Hill House: un orrore architettonico


Titolo: L’incubo di Hill House
Autore: Shirley Jackson
Editore: Adelphi
Data di pubblicazione: 3 giugno 2016
ISBN: 9788845930959
Prezzo (Euro): 11,4 (flessibile), 6,99 (ebook)
N. Pagine: 233
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L’incubo di Hill House è il romanzo più celebre di Shirley Jackson, un’opera che ha definito il concetto di casa infestata in letteratura e ha influenzato tantissimi autori di genere, da Bradbury a King, per citarne giusto un paio. La trama ruota attorno a quattro personaggi che si riuniscono in una magione isolata e maledetta per investigare fenomeni paranormali. 

Questo libro è come un pasto di tre portate servito su un tavolo traballante in una casa infestata. All’inizio, ti siedi con una certa curiosità, aspettandoti un tipico banchetto horror, con fantasmi che saltano fuori dagli armadi e grida strazianti nei corridoi. Ma ciò che ti viene servito è qualcosa di completamente diverso: un’insalata di ansia esistenziale condita con una vinaigrette di solitudine, seguita da un piatto principale di instabilità mentale, cotto a fuoco lento nell’inquietudine. E per dessert? Una torta di ambiguità, così ricca di interpretazioni che ti chiedi se non sia stata la tua stessa mente a prepararla.

Hill House non è solo una casa stregata, è un esperimento sociale, un test psicologico travestito da romanzo gotico dove la casa stessa diventa un simbolo della psiche umana facendo dissolvere il confine tra la realtà e la follia. E quando lo chiudi, non sei sicuro se sia stata la casa a tormentare Eleanor, o se Eleanor abbia semplicemente trovato in Hill House uno specchio spietato della propria fragilità. In ogni caso una cosa è certa: quando si esce da Hill House, non si torna mai a casa da soli.

Abbiamo sempre vissuto nel castello: un incubo domestico


Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello
Autore: Shirley Jackson
Editore: Adelphi
Data di pubblicazione: 26 novembre 2020
ISBN: 9788845935497
Prezzo (Euro): 11,4 (flessibile), 6,99 (ebook)
N. Pagine: 189
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Se L’incubo di Hill House esplora l’orrore di una casa infestata, Abbiamo sempre vissuto nel castello ci porta in un mondo più intimo, anche se altrettanto inquietante, dove l’orrore si annida nelle dinamiche familiari e nei segreti taciuti. Il romanzo è narrato in prima persona da Mary Katherine “Merricat” Blackwood, una giovane donna che vive isolata con la sorella Constance e l’invalido zio Julian in una grande casa alla periferia di un villaggio. La famiglia Blackwood è stata emarginata dalla comunità dopo un evento traumatico: l’avvelenamento che ha ucciso il resto della famiglia.

Usando sempre un paragone culinario, “Abbiamo sempre vissuto nel castello” è come una ricetta per un tè pomeridiano perfettamente avvelenato. Ti siedi con Merricat e Constance in una cucina apparentemente normale, circondata da tazze di porcellana e zuccheriere lucide, ma appena assaggi il primo sorso, ti rendi conto che qualcosa non va. La dolcezza è troppo intensa, un retrogusto metallico ti si insinua sulla lingua, e cominci a chiederti cosa ci sia davvero dentro quella teiera.

In questo romanzo l’autrice esplora il concetto di isolamento e l’effetto corrosivo che esso ha sulla mente, indagando il terrore dell’esclusione sociale e la psicosi che nasce dall’auto-segregazione. Merricat è una narratrice inaffidabile, il cui mondo è regolato da rituali e superstizioni che sembrano proteggere la fragile bolla di sicurezza che lei e Constance hanno costruito. Il “castello” nel titolo rappresenta sia la casa che l’illusione di sicurezza e controllo che le sorelle hanno creato, un luogo dove l’interno e l’esterno si scontrano violentemente.

Locandina dell’adattamento Netflix

Paragoni e divergenze: la casa contro il castello

Entrambe le opere della Jackson esplorano la relazione tra il luogo e la mente, ma lo fanno in modi molto diversi. In L’incubo di Hill House la casa è un antagonista attivo, una forza maligna che agisce sui suoi abitanti esacerbando le loro paure e instabilità mentali. Il romanzo si muove su un piano metafisico, lasciando il lettore a chiedersi se la casa sia realmente stregata o se tutto sia il prodotto della psiche di Eleanor.

Abbiamo sempre vissuto nel castello, invece, è radicato in un contesto più umano e sociale dove il vero orrore è la famiglia stessa e la psiche danneggiata di Merricat. Il castello non è tanto un luogo malvagio quanto un rifugio autodistruttivo, un guscio che protegge e allo stesso tempo imprigiona. Se Hill House è una minaccia esterna che si insinua nella mente dei personaggi, il castello di Merricat è un prodotto interno, una manifestazione delle sue paure e del suo bisogno ossessivo di controllo.

Nonostante le diversità le due opere sono due facce della stessa medaglia, opere che, pur affrontando tematiche diverse, condividono una visione comune: l’orrore non è solo ciò che si nasconde dietro una porta chiusa, ma ciò che vive dentro di noi, alimentato dalle nostre paure, insicurezze e desideri inconfessabili. Shirley Jackson ci ha insegnato che i veri incubi non hanno bisogno di fantasmi per terrorizzarci; spesso, tutto ciò di cui hanno bisogno è una mente vulnerabile.

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