Olam Hatohu. Memorie di un suicida | RECENSIONE

di Massimo Costante

Titolo: Olam Hatohu. Memorie di un suicida
Autore: Aldo Luigi Mancusi
Editore: Ensamble
Data di pubblicazione: 30 novembre 2023
ISBN: 979-1255710776
Prezzo (Euro): 13 (flessibile)
N. Pagine: 60
Link per l’acquisto: Amazon

Aldo Luigi Mancusi, personalità poliedrica tra giornalismo, cultura letteraria e spiritualità, ci introduce al suo mondo complesso e profondo attraverso la silloge “Olam Hatohu. Memorie di un suicida”. La scelta del titolo stesso, “Olam Hatohu”, un termine ebraico che si traduce letteralmente come “la terra del caos”, rivelato nel secondo verso della Genesi, fornisce una cornice concettuale per esplorare temi di estrema rilevanza e delicatezza. In questo elaborato lavoro, Mancusi non solo affronta il tema delicato del suicidio, ma si spinge oltre, esplorando la psiche umana, il teatro della vita e la complessità delle emozioni umane. Una recensione la mia che mi ha tenuto tanto in sospeso, proprio per le iniziali difficoltà a trattare un tema talmente complesso e altamente delicato, ma grazie alla lettura e al tempo che si è sospeso mi ha portato a capire l’intensità e la magia delle parole fissate nei suoi versi.

Olam Hatou: la ricerca di sé stessi nella terra del caos

La citazione di Mancusi sulla traduzione di Olam Hatohu come “terra del caos” diventa un punto focale dell’intera opera. Questa scelta linguistica, radicata nella Bibbia ebraica, fornisce un’ancoratura spirituale alla sua esplorazione della condizione umana. L’autore si immerge nelle profondità di questa terra di caos, sfidando il lettore a fare lo stesso.

L’autore, attualmente noto per essere la voce e l’immagine del canale YouTube “Libri di sangue”, sembra trasportare l’approccio dinamico del giornalismo nel suo stile poetico. La sua formazione come ultimo allievo di Arie Ben Nun, uno dei trentasei kabbalisti nel mondo, aggiunge un elemento di profondità mistica alla sua prospettiva. Questa connessione spirituale si riflette nella sua capacità di affrontare questioni esistenziali e di toccare le corde più profonde dell’anima umana.

Il libro si apre con la prefazione che vede la straordinaria partecipazione del Professore Dario Evola, noto cirtico teatrale, saggista di fama internazionale e nipote di Julius Evola (noto filosofo, pittore, poeta, scrittore, occultista ed esoterista italiano.)

Ma cosa vuol dire Olam Hatohu?

È ciò che riporta al secondo verso la Genesi (Bereshit), primo libro della Torah, e letteralmente si traduce “la terra del caos””. Questa dichiarazione iniziale attrae il lettore con una domanda essenziale sulla natura del caos e del significato più ampio dell’esistenza. È un invito a una riflessione profonda sulla vita stessa.

Mancusi, con la sua esperienza da ex giornalista e direttore responsabile della rivista “Metal Shock”, porta al lettore una prospettiva unica. La sua voce si fa strada attraverso le pagine, portando con sé non solo le parole, ma anche l’esperienza vissuta. Questo dona una genuinità particolare alle sue riflessioni sulla vita, sulla morte e sul significato intrinseco di Olam Hatohu.

Nella sua opera risulta essere centrale il messaggio dall’autore stesso sottolineato: “Possiamo giocare a nascondino quanto ci pare ma, se non oggi domani, dovremo affrontare il nostro Olam Hatohu”. Nei suoi versi Mancusi sembra sfidare il lettore a non sfuggire al confronto con la propria realtà interna, a riconoscere il caos che esiste nelle profondità di ogni essere umano. Questo è più di un invito alla contemplazione; è un monito, un richiamo ad abbracciare la verità nonostante le difficoltà che potrebbe portare.

Ancora proseguendo, fortissimo è l’elemento teatrale, possibilmente stratificando ancora di più il suo lavoro, dipingendo il mondo come un palcoscenico, una rappresentazione dove ognuno di noi svolge il suo ruolo senza una regia definita. Questo teatro è il contesto in cui si svolge la nostra vita, un’arena dove ogni azione, anche la più nascosta, contribuisce alla drammaturgia dell’esistenza.

Nella parte centrale dell’opera, Mancusi si avventura nel dietro le quinte del teatro della vita, un luogo in cui “tocchiamo con mano la nostra verità: quell’ignobile vergogna da tacere”. Qui, l’autore va oltre le maschere sociali, svelando il lato oscuro e intimo della vita. Questa è la chiave di volta del suo lavoro, l’invito a guardare oltre le apparenze, a confrontarsi con la propria vulnerabilità e con ciò che spesso rimane nascosto dietro le cortine del quotidiano.

Sono giaciuto nella polvere con lei
Sadico diamante di una dea
Coltello che mi lacera le membra
Lapide che estingue le altrui pene

La poetica di Mancusi, evidente anche nel titolo della silloge, emerge nella sezione successiva. L’uso di parole come “ignobile vergogna” indica un confronto diretto con l’oscurità che potrebbe risiedere dentro ognuno di noi, così come possiamo rilevare nei versi di Cronaca di un breve amore. Questo non è solo un atto di coraggio da parte dell’autore, ma un gesto di connessione umana. Il linguaggio poetico permette a Mancusi di esplorare queste profondità senza compromessi, creando un dialogo intimo con il lettore.

La prospettiva di Mancusi sembra abbracciare la dualità della vita, la sua bellezza e la sua bruttezza, la luce e l’oscurità. Nel descrivere il mondo come un grande teatro, suggerisce che tutti siamo sia attori che spettatori, partecipanti attivi nella trama della nostra esistenza ma anche osservatori delle vite degli altri. Questo richiamo all’universalità dell’esperienza umana è uno dei punti di forza del suo lavoro. La stessa dualità la troviamo anche nell’alternanza tra luce e buio, preghiera e blasfemia, simbolismo cristiano e altrettante figure dai forti legami ma per credo religioso dissociate come la divinità Horus o il mito greco dell’angelico Icaro.

Riconoscimento dell’ineluttabilità

La silloge sembra avanzare con una sensazione di inevitabilità, sottolineata dalla frase “se non oggi domani, dovremo affrontare il nostro Olam Hatohu”. Questa è la promessa di una resa dei conti con la verità più profonda, una sorta di confronto con la realtà in cui ognuno di noi alla fine si troverà di fronte. Mancusi, attraverso le sue parole, sembra guidare il lettore verso un viaggio di auto-scoperta, un percorso inevitabile ma essenziale per una comprensione più profonda di sé e del mondo.

I versi, semplici, non sempre accompagnati da assonanze e rime peculiari della poetica più tradizionale, rendono ogni poesia familiare, vicina e propria al lettore e accessibile nonostante la sua spiccata profondità.

La parte finale, così come accade in Urizen – Il cammino dell’immortale (altra silloge dell’autore di cui vi parlerò più avanti sempre su queste pagine) tiene un filo conduttore labile col tema trattato, imprimendo quattro diapositive della vita dell’uomo, titolate con i “quattro semi”, spade, coppe, denari e bastoni riconducibili al suo ciclo vissuto e quindi alle quattro stagioni della vita, primavera, estate, autunno e inverno.

Chiude la silloge un altro intervento straordinario con la postfazione di Alessandro Manzetti, tre volte vincitore del prestigioso Bram Stoker Award, seguitissimo scrittore e poeta sia nel Bel Paese che a livello internazionale.

Nel complesso, “Olam Hatohu. Memorie di un suicida” di Aldo Luigi Mancusi è un’opera che spazza via le convenzioni, sfidando il lettore a guardare oltre le apparenze e ad affrontare la propria verità interiore. La sua prospettiva unica, radicata nella spiritualità e nella profondità umana, rende questo lavoro un’esperienza letteraria intensa e coinvolgente che ci rende davvero “liberi” anche in ciò di cui spesso non abbiamo il pieno controllo: la vita.

COSA MI È PIACIUTO:
– Un viaggio interiore alla conoscenza di sé stessi
– Un approccio coraggioso e differente ad un tema molto delicato
– Stile e versi accessibili

COSA NON MI È PIACIUTO:
– Tema delicato e comunque non adatto a tutti

👍CONSIGLIATO A:
 se cerchi un’opera altamente introspettiva
👎​NON CONSIGLIATO A:
 se cerchi letture più leggere

VOTO: 5/5⭐⭐⭐⭐⭐