di Massimo Costante
Si è chiusa ieri, tra scaffali stracolmi, risate e quel caos creativo tipico dei sogni che diventano realtà, la prima edizione di Oblivion Fair, fiera dedicata alla letteratura fantastica nata non da un budget milionario, ma da un autentico esperimento sociale. Il risultato? Un esperimento politico-letterario che ha riunito quasi 5.000 persone, 45 case editrici e una rete di volontari così appassionati da far sembrare il volontariato una rivoluzione.
La fiera come atto politico: “Cooperare è meglio che competere”
Oblivion nasce dall’incontro di menti appassionate e visionarie: Claudio Kulesko, Paolo di Orazio, D Editore ed Edoardo M. Rizzoli hanno dato vita a un collettivo dedicato all’esplorazione dei lati più oscuri e affascinanti della narrativa di genere.

Con l’aggiunta di Emanuela Cocco, Carlotta Di Casoli e Magda Crepas, Oblivion è diventato un progetto corale, dove l’amore per il pensiero speculativo, l’horror e il weird si intreccia con l’innovazione culturale. Le 45 case editrici partecipanti hanno finanziato tutto, sostenute da un premio letterario che ha coinvolto 79 autori emergenti. Il modello? Quello teorizzato da Pëtr Kropotkin: cooperazione mutualistica. E i numeri gli danno ragione: 14.500 euro di costi coperti, 1.000 euro di libri guadagnati dai volontari, e un flusso di pubblico che ha trasformato la Città dell’Altra Economia in un salotto letterario.
Il premio: otto voci nuove per l’editoria
Cuore pulsante della fiera è stato il premio letterario, concepito non come una competizione, ma come una porta d’accesso al mondo editoriale. Le otto vincitrici e vincitori – Valeria Biuso, Antonio Amodio, Antonio Longo, Filippo Santaniello, Monia Guredda, Laura Scaramozzino, Violetta Longhitano e Jane Fleming – hanno già siglato accordi con case editrici. «Niente raccomandazioni, niente pay-to-play: solo talento», sottolineano gli organizzatori. Una scommessa vinta, che ridisegna il rapporto tra autori e editori.

Numeri e prospettive
Il ringraziamento finale è un inno alla comunità: dalle operatrici del Comune di Roma che hanno sbloccato permessi, al tipografo paziente, ai giornalisti che hanno raccontato Oblivion con rispetto. E soprattutto, ai 4.980 visitatori: «Senza di voi, saremmo rimasti un post su Facebook. Invece, siamo una fiera. E forse, presto, molto di più», conclude l’organizzazione.
Appuntamento al 2026, per scoprire se l’anarchia letteraria può davvero cambiare le regole del gioco. Intanto, Oblivion Fair ha già scritto la prima riga di un nuovo capitolo: quello in cui la cultura non si chiede quanto costi, ma quanto valga.